Non dobbiamo considerare la Sardegna come una meta perfetta per le vacanze grazie al suo mare da sogno, c’è un dato che riguarda l’isola che genera non poca preoccupazione.
È quasi naturale associare la Sardegna alla meta ideale per le proprie vacanze, in virtù di un mare cristallino che permette di lustrarsi gli occhi, oltre ai diversi locali che permettono di divertirsi a tutte le ore e a tutte le età. In realtà, le temperature miti che ci sono in genere nel resto dell’anno rendono la zona una soluzione ideale anche quando si sta pensando a una località dove potersi ritemprare dalle varie fatiche, oltre a essere perfetta per un’escursione immersi nella natura.
A fare da deterrente a un progetto simile potrebberoe essere eventualmente i costi non accessibili a tutte le tasche che a volte vengono proposti dalla maggior parte degli hotel, anche se esistono comunque alternative meno costose se ci si mette a cercare con un po’ di pazienza. In realtà, questa regione potrebbe essere rappresentata al meglio dal detto “non è tutto oro quello che luccica”, in considerazione di uno scenario che forse non tutti conoscono, ma che non permette certamente di sorridere.
Ma quale sarebbe la statistica che dovrebbe mettere in allarme chi vive in Sardegna e a questo punto chi la governa? Si tratta della situazione difficile sul piano economico che sta vivendo gran parte dell’isola, che non può che stridere con chi la ritiene solo un territorio apprezzato per la movida e le spiagge da sogno, che richiedono anche costi esorbitanti.
Si registra infatti un calo drastico dei negozi di vicinato, che si ritrovano costretti ad abbassare la serranda in via definitiva a causa di un evidente deficit nei ricavi, controbilanciato da costi che sono pesanti da sostenere per gli esercenti. Il 2024 in questo ambito è stato infatti un anno davvero negativo: hanno avviato l’attività appena 23.188 nuove imprese del commercio, mentre ben 61.634 hanno chiuso definitivamente i battenti. Questo sta a indicare quindi un rapporto di 1 apertura per ogni 3 chiusure, il peggiore degli ultimi dieci anni, secondo quanto evidenziato da un’analisi di Confesercenti, che prende spunto dai dati diffusi dalla Camera di Commercio.
È però riduttivo pensare che questa sia una situazione che riguardi solo l’anno passato, quello è stato invece l’apice di un problema che perdura da tempo. Nel 2014 le aperture erano state 43.324, pari a poco più di 118 al giorno, mentre nel 2024, il ritmo giornaliero di iscrizioni si è ridotto a 63,5, quasi la metà. Ma è dal 2020 che il peggioramento è stato graduale, coinciso inevitabilmente con la difficoltà che tanti esercenti si sono ritrovati a doversi rialzare dalle restrizioni legate al Covid.
I timori maggiori sorgono però soprattutto per le chiusure, che sono decisamente troppe, a conferma di come sia difficile portare avanti nel tempo un’attività commerciale in Sardegna. Nel 2024, ogni giorno hanno abbassato la saracinesca circa 169 attività, contro le 139 del 2020, l’anno della pandemia. Si può quindi parlare di una vera desertificazione commerciale, termine che identifica la scomparsa dei negozi di vicinato, che non riguarda però solo l’isola. Anzi, in vetta di questa triste classifica troviamo le Marche (peggior rapporto tra iscrizioni di nuove imprese e chiusure, 1 a 4), seguite da Sicilia (una nuova apertura ogni 3,8 chiusure), Lazio (1 a 3,7), Sardegna (1 a 3,5) e Umbria (1 a 3,2).
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